- 28 Giugno 2024
- Copyright
- Raffaele Bonini
Di recente, la Corte UE, con sentenza del 30/04/2024 (causa C-470/21) si è pronunciata, su richiesta del Consiglio di Stato francese, in tema di privacy relativamente alle violazioni del diritto d’autore online. Una sentenza che può definirsi storica.
Con questa pronuncia, infatti, la Corte ha autorizzato la Haute Autorité pour la diffusion des oeuvres et la protection des droits sur l’Internet (alta autorità francese per la diffusione delle opere e la tutela dei diritti su Internet, meglio nota come Hadopi) a risalire all’identità civile degli utenti, tramite gli indirizzi IP utilizzati per commettere attività illecite in rete, al fine di adottare nei loro confronti le misure previste dalla normativa nazionale.
Tali misure possono essere di varia natura: una prima “raccomandazione”; in caso di violazione reiterata, può seguire una seconda raccomandazione; infine, se ricorrono i presupposti di legge, viene adita l’autorità giudiziaria.
Cosa prevede la sentenza
Per risalire all’identità dei responsabili vengono compiute una serie di operazioni sui dati degli utenti, che consistono nella raccolta degli indirizzi IP utilizzati per attività che violano il diritto d’autore, insieme a informazioni aggiuntive che includono la data e l’ora dei fatti, il protocollo (peer to peer) utilizzato, l’eventuale pseudonimo utilizzato, le informazioni relative alle opere oggetto di violazione e il fornitore di accesso a Internet presso il quale è stato effettuato l’accesso al servizio o che ha fornito la risorsa tecnica IP. Ottenuti questi dati, gli indirizzi IP vengono associati ai titolari di tali indirizzi, per risalire così alla loro identità civile.
In generale queste tipologie di trattamento dei dati sono considerate illegittime, ma possono essere utilizzate per identificare gli autori di un illecito. Non possono essere utilizzate per raccogliere informazioni sulla vita privata del soggetto.
La Corte ha affermato che, nel caso di reati commessi online, l’accesso agli indirizzi IP può costituire l’unico strumento di indagine idoneo a identificare la persona alla quale tale indirizzo era attribuito al momento della commissione del reato. Questo comporta che la conservazione degli indirizzi IP e l’accesso agli stessi sono, per quanto riguarda la lotta contro reati commessi online, strettamente necessari al conseguimento dell’obiettivo perseguito. Quanto stabilito dalla direttiva europea non consiste dunque in una violazione della privacy.
Un esempio di violazione del diritto d’autore in rete e le contromisure previste
Un esempio concreto può essere la diffusione in esclusiva su una piattaforma streaming di una partita di calcio o di un qualsiasi evento sportivo ma anche di intrattenimento (concerto, film, etc.) e che, una volta violato, viene reso disponibile sulla rete. In tal caso il titolare dei diritti è legittimato nel richiedere ai provider informazioni sugli indirizzi IP che hanno effettuato l’accesso a contenuti, a tutti gli effetti, illegali.
Una volta forniti i dati all’autorità preposta (Hadopi), questa può risalire all’identità degli utenti che hanno usufruito illegalmente del contenuto.
Un plauso alla normativa arriva anche dall’Italia e dall’AGCOM, che in materia di contrasto alla pirateria online era già intervenuta.
La legge italiana contro la violazione del diritto d’autore
Risale infatti allo scorso anno l’approvazione in Senato all’unanimità della legge contro la diffusione illecita di contenuti tutelati dal diritto d’autore. Fino a tre anni di reclusione e quindicimila euro di multa le sanzioni previste dal provvedimento, soprannominato anche “legge anti pezzotto”, dal nome di uno degli strumenti utilizzati per diffondere in rete materiale protetto da proprietà intellettuale. Il testo prevede, tra le altre cose, il blocco immediato dell’indirizzo IP da cui parte il segnale pirata. Si stima che siano oltre cinque milioni gli italiani che si servono di indirizzi pirata per seguire le squadre del cuore illecitamente e violando il diritto d’autore. Non solo. All’Autorità garante per le comunicazioni (Agcom) è stato assegnato il potere di ordinare ai prestatori di servizi di disabilitare l’accesso al sito che trasmette il segnale pirata entro trenta minuti, anche avvalendosi di provvedimenti cautelari. I giudici, a quel punto, potranno risalire al titolare della pagina e accedere alle sue informazioni personali tramite il tracciamento dei pagamenti. Multe previste anche per gli utenti finali che, se identificati, potranno pagare fino a cinquemila euro.
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